di Mario Antoldi ~ t-a-o.it
Una chiave per ritrovare la nostra essenza. Il Taiji Quan è uno stile interno di Kung Fu profondamente permeato dalla filosofia taoista ed è uno strumento molto efficace per il raggiungimento della consapevolezza corporea e interna. I principi filosofici taoisti, specialmente se abbinati in modo consapevole alla pratica, guidano l’allievo verso una comprensione più ampia di sé e delle situazioni vissute nel quotidiano e di quelle di relazione.
I termini taoisti YIN e YANG identificano tra l’altro il femminile il maschile e molti altri opposti-complementari, che sono la base delle più antiche discipline taoiste cinesi come il Taiji Quan. Nonostante la nostra vita occidentale abbia radici culturali differenti rispetto alla concezione filosofica orientale, si può cogliere, nel continuo alternarsi dello Yin e dello Yang, la chiave per porre rimedio a squilibri e riportare ordine in modo armonico tra corpo e mente, tra uomo e donna, tra materialità e spiritualità, tra forza e morbidezza. La pratica del Taiji Quan ci dà la dimostrazione fisica di come la cedevolezza e la morbidezza possano prevalere sulla forza e sulla durezza; ci offre una risorsa per rivalutare le potenzialità dello YIN (femminile), utile strumento per le donne che desiderano ritrovare la potenzialità del proprio essere profondo ancestrale, del proprio essere motore della vita. Può altresì aiutare a far riemergere in modo riequilibrato la fermezza e la forza dello YANG (maschile) anche nella donna che, spaventata dall’aggressività esterna, rifugge dall’emulazione maschile, disconoscendo nella propria essenza la pur necessaria componente maschile. Inoltre può essere un valido strumento per l’uomo anch’esso vittima del tempo moderno, ossessionato da prestazioni che lo pongono in un interminabile conflitto allontanandolo sempre più dalla vita, dall’amore; uno strumento che gli permette di scoprire dentro di sé la tenerezza di un bimbo. Il Taiji Quan ci appare come una sequenza di movimenti di lentezza misurata, nella quale si alternano figure che ci rimandano alle delicate movenze di alcune specie di animali come la gru bianca che spiega le ali, il serpente che mostra la lingua, la scimmia che prende la frutta e altre ancora. La bellezza dei movimenti è arricchita dalla morbidezza e a volte dalla fermezza che si esprime in alcuni eventi naturali, come il fluire dell’acqua, l’agitarsi delle nuvole, il calore e l’espansione del fuoco. Durante la pratica si impara a percepirsi come unità, a sentire la propria energia scorrere dentro di sé, ad ascoltare il respiro, il corpo, le emozioni, le esigenze e i desideri e, così facendo, anche gli aspetti più profondi della propria umanità vengono a galla. Il tipo di attenzione posta negli esercizi favorisce lo sviluppo di un’attitudine all’ascolto completo del proprio esistere. La pratica degli esercizi può essere destinata a due macro aree di ricerca: l’ascolto del mondo interiore e l’ascolto nel mondo delle relazioni. In realtà queste due aree sono sempre interconnesse, ma è possibile portare su di esse specifiche attenzioni:
- Gli esercizi individuali sono particolarmente adatti per l’ascolto del proprio mondo interiore, quindi per l’introspezione, la gestione dell’energia e il contatto col proprio corpo.
- Gli esercizi a coppie si prestano, invece, allo sviluppo dell’ascolto di noi stessi in tutte le situazioni in cui abbiamo a che fare con altre persone: relazioni di coppia, ambiti di lavoro, situazioni corali e altro.
Ad esempio il “Tui Shou”, pratica che viene eseguita in coppia, ci permette di relazionarci con l’esterno, di rielaborare la nostra relazione con “l’altro”: dimensione imprescindibile della nostra vita sociale che il “Tui Shou”, parte integrante del Taiji Quan, ci permette di rivisitare. Oggi la vita sociale ci allontana sempre di più da un contatto umano inteso come manifestazione delle nostre emozioni. Molti di noi temono, non gradiscono ed evitano questo approccio, perché non hanno gli strumenti per poter codificare tali manifestazioni. Nell’esercizio a due ci riappropriamo di quegli strumenti indispensabili per relazionarci con chi ci è accanto o di fronte attraverso l’ascolto, la cedevolezza, la morbidezza, l’aderire, il seguire: strumenti questi dimenticati, perché sostituiti dall’aggressività, dalla prepotenza e dal protagonismo. La pratica con un partner quindi, non deve essere vissuta in modo antagonista, ma piuttosto come un’apertura verso la comprensione dell’altro. Scoprire le somiglianze fa comprendere e accettare le diversità. Si apprende il rispetto, la tolleranza e si partecipa al DAO (via-vita).
Il Taijiquan riapre una finestra sull’esterno ci rieduca a relazionarci.
L’allievo deve cercare di mantenere lo stupore evitando di finire nell’abitudine con una giusta attenzione e spirito critico, l’insegnante deve essere sincero e costante nella sua pratica personale quotidiana senza troppe teorie, con tranquillità senza segreti, quello che è in quel momento, consapevole della inevitabile trasformazione nel tempo. Mantenendo quieta la mente restando saldamente ancorati al centro con consapevolezza, trascendendo lo stato di schiavitù in cui siamo relegati dalle percezioni, cosi si potrà penetrare la realtà in modo adeguato e proseguire la pratica (gong fu) armonicamente. In tutti gli uomini è presente una carica di aggressività che altro non è che una manifestazione dell’istinto di sopravvivenza; se questo potenziale aggressivo viene costretto o limitato può sfociare in alienazione individuale o, ancor peggio, collettiva. Nel passato, in Oriente alcuni maestri hanno elaborato, traendoli da antiche tecniche guerriere, dei metodi per disciplinare questa aggressività, ritualizzandola attraverso stilizzazioni e tecniche simboliche, creando scuole o discipline atte a consentire il raggiungimento dell’autocontrollo e dell’equilibrio psico-fisico. La sopravvivenza del guerriero è legata alla sua capacità di adattarsi, deve essere in grado di trasformare qualsiasi avvenimento a suo vantaggio, deve attivare verso la vita un atteggiamento rivoluzionario e magico. La vera guerra è contro i nemici interiori: l’odio, la disperazione, l’invidia. Il guerriero ha il coraggio di affrontare i draghi interiori, che lo mettono in grado di affrontare quelli esteriori con intelligenza, autodisciplina e saggezza. La pratica del tai chi chuan, e il suo studio è da compiere per stadi, senza voler bruciare le tappe con costanza e umiltà, aspettando che la natura faccia il suo corso e che i cambiamenti avvengano spontaneamente. Salendo una scala bisogna far attenzione a ogni singolo piolo senza saltarne nemmeno uno, così sì è consapevoli della salita e non si avrà dubbi nel percorrerla. Lo sviluppo di ognuno di noi procede per stadi, restando troppo a lungo a un certo livello, la nostra crescita risulterà stentata, mentre se ci affrettiamo a superarlo non si trarrà insegnamento dalla esperienza del momento. Dunque una crescita non equilibrata costringendoci a tornare sui nostri passi per rimediare. Cercare di discernere i vari stadi della vita riconoscendo il passaggio da una fase all’altra è importante come nel gong fu (kung fu) , abilità ottenuta che si ottiene con sacrificio e dedizione nel tempo, facendo sempre e solo un passo alla volta: ad ogni età il giusto metodo e i giusti obiettivi.
Il riconoscimento è un fattore prezioso.
La pratica non può ridursi a una mera ripetizione, meccanica, sterile e vuota di esercizi e posture, la forma stessa pur essendo sempre la solita risulta diversa alla percezione; eseguendola si è in grado, ascoltandosi, di cogliere sottili sfumature piccoli ma importanti cambiamenti, sapori sempre nuovi. L’intenzione è nella pratica (gong fu) non nel risultato.
Non posso imparare più di quello che sto facendo. Perché non serve a niente.
La pratica deve essere vissuta in pieno non deve trasformarsi in consuetudine, non deve essere idealizzata o descritta va VISSUTA in primis, essendo disposti a cambiare pelle, vestito, identità, rinunciando a se stessi facendo cadere ogni illusione. Molto importante è l’empatia allievo/insegnante, l’allievo deve cercare di mantenere lo stupore evitando di finire nell’abitudine con una giusta attenzione e spirito critico, l’insegnante deve essere sincero e costante nella sua pratica personale quotidiana senza troppe teorie, con tranquillità senza segreti, quello che è in quel momento, consapevole della inevitabile trasformazione nel tempo. Mantenendo quieta la mente restando saldamente ancorati al centro con consapevolezza, trascendendo lo stato di schiavitù in cui siamo relegati dalle percezioni, cosi si potrà penetrare la realtà in modo adeguato e proseguire la pratica (gong fu) armonicamente.