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Il pensiero Buddhista nel Tàijíquán 太极拳

di Amanda Carloni ~ dalvuotocentrale.blogspot.it

Le tre correnti filosofiche che caratterizzano maggiormente il pensiero cinese sono: il Daoismo e il Confucianesimo, autoctone, e il Buddhismo, che ha avuto origine in India circa 5 secoli a.e.v. ed è arrivato in Cina nel I secolo e.v.

L’arte marziale del Tàijíquán 太极拳 si fonda su queste basi filosofiche e per quanto siano spesso più facilmente riconoscibili aspetti legati al Daoismo, basti pensare al simbolo stesso del Tàijí 太极 formato dall’unione di Yīn e Yáng , e al Confucianesimo, quest’ultimo soprattutto per quanto riguarda l’aspetto etico e sociale, è presente anche una componente riconducibile al Buddhismo.

Secondo il Buddhismo, conosciuto anche come Via Mediana, il corretto modo di pensare e agire è quello che evita gli eccessi, la rigidità come l’eccessiva mollezza. Alla base di questa corrente di pensiero e di vita si trovano le Quattro Nobili Verità:

  1. la sofferenza

  2. l’origine della sofferenza

  3. la cessazione della sofferenza

  4. la via che porta alla cessazione della sofferenza.

E l’ Ottuplice sentiero:

  1. retta visione,

  2. retta intenzione,

  3. retta parola,

  4. retta azione,

  5. retti mezzi di sostentamento,

  6. retta diligenza,

  7. retta presenza mentale,

  8. retta concentrazione.

Queste basi sono inoltre integrate da:

  1. La dottrina dell’impermanenza: ogni fenomeno è temporaneo;

  2. la dottrina della coproduzione condizionata: l’essere umano è legato alle illusioni e l’attaccamento genera la sofferenza, secondo una catena di cause ed effetti;

  3. la dottrina della vacuità: niente di quello che chiamiamo realtà è dotato di esistenza intrinseca, esiste solo in relazione a tutto il resto.

La pratica della meditazione, considerata nella Via Buddhista come mezzo per arrivare alla cessazione della sofferenza, ci porta a fare esperienza diretta di tutto questo e regola l’interiorità armonizzandola progressivamente nello stato conosciuto come “vuoto e quiete”, lo stesso che è alla base di una corretta pratica di Tàijíquán, arte marziale che nel suo aspetto originale comprende anche la pratica meditativa. Come spiegato dal M. Yáng Yáng nel suo Tàijíquán: arte del nutrimento e scienza della forza1: “In che modo il Tàijíquán conduce il praticante a realizzare la tranquillità della mente e dello spirito? Nello studio del Tàijí, i praticanti seguono (dovrebbero seguire!) i principi spirituali della moderazione, della dissoluzione dell’ego e dell’ascolto interiore. La tranquillità della mente e dello spirito e la maggiore consapevolezza che scaturisce da essa sono i più grandi benefici che la pratica del Tàijíquán può recare.”

Il principio della moderazione è indispensabile per una corretta pratica di Tàijíquán, che ci richiede proprio di integrare e armonizzare gli opposti perchè l’azione marziale e più in generale la vita funzioni al meglio. Sia nella pratica della forma che del tuīshǒu 推手 (lavoro in coppia) che soprattutto nella vita quotidiana, chi non ha sviluppato un centro psicofisico sufficientemente stabile ed equilibrato (zhōng dìng, 中定) si sente costantemente minacciato e cade vittima della sua stessa mancanza di comprensione o ignoranza (il primo dei dodici anelli della coproduzione condizionata secondo il Buddhismo), percependo qualsiasi azione dell’altro come una minaccia e non come un’opportunità. Da qui la chiusura egoica che porta con sè ogni altra disgrazia, sia per quanto riguarda la pratica che la gestione degli aspetti relazionali a essa legati: chiunque abbia un minimo di esperienza con associazioni e scuole di Tàijíquán anche solo in Italia sicuramente non fatica a trovare esempi di sostituzione sistematica dell’ego all’arte, di liti, scissioni e problemi di salute come mal di schiena, infortuni alle ginocchia, infarti e ictus diffusi tra praticanti e addirittura tra maestri di quest’arte che porterebbe salute, longevità e armonia se fosse compresa e praticata correttamente in ogni suo aspetto.

1 Edizione italiana a cura di E. Tufino e A. Carloni

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